← Torna a Blog di Viaggio


Ormai è una nostra tradizione passare le vacanze estive in Sardegna, perché per noi è diventato sinonimo di mare azzurro e cristallino, spiagge bianche e incontaminate, grande ospitalità e buon cibo. Tutto questo però da solo non basta, perché ricerchiamo sempre qualcosa che possa stupirci. Ed anche quest’anno lo abbiamo abbondantemente trovato, prendendo come meta prima Carloforte, sull’Isola di San Pietro, e poi la costa del Sulcis-Iglesiente. Il periodo è ricaduto ancora una volta sulle ultime due settimane di giugno, dal 15 al 29/6/2019.

Attraccati ad Olbia di prima mattina, ci dirigiamo verso Portovesme, punto di imbarco per Carloforte. Per spezzare un po’ il viaggio che attraversa l’isola da nord-est a sud-ovest, abbiamo individuato due tappe archeologiche intermedie, a pochi km di distanza dalla SS131 d.c.n. (Diramazione Centrale Nuorese): la Tomba dei Giganti di S’Ena e Thomes e la fonte sacra di Su Tempiesu.

La Tomba dei Giganti di S’Ena e Thomes

Le Tombe dei Giganti (tumbas de is gigantes in lingua sarda) sono monumenti appartenenti all’età nuragica (II millennio a.C.) a pianta rettangolare absidata, edificati mediante monoliti di pietra di grandi dimensioni conficcati nella terra; sono presenti in tutto il territorio sardo. La Tomba dei Giganti di S’Ena e Thomes è una tra le meglio conservate.

Nonostante il nome, nelle tombe non sono mai stati ritrovati resti di esseri umani giganti; pare però che ospitassero tanti corpi, probabilmente erano le sepolture dei Babays Mannus (grandi padri), grandi per la loro saggezza, non per le dimensioni fisiche. Secondo alcune teorie, tali tombe sarebbero state costruite in punti di forti concentrazioni di energie telluriche; al loro interno si dice vi sia un forte accumulo di energie positive, tant’è che, ancora oggi, molte persone vi si recano per trovare sollievo ai malanni, con risultati sorprendenti.

La fonte sacra di Su Tempiesu

Ripartiti dalla Tomba dei Giganti, ci dirigiamo verso Orune, un paesino arroccato in cima ad un monte, per poi giungere alla fonte sacra di Su Tempiesu. Avevo appreso della sua esistenza da un documentario su Sky della serie “Le Sette meraviglie”, dedicato alla Sardegna nuragica.

Lasciata l’auto nel parcheggio della cooperativa che gestisce il sito archeologico, proseguiamo a piedi per circa 1 km, scendendo nella valle sottostante. Sepolta da una frana che distrusse la parte superiore e seppellì il resto, fu scoperta casualmente nel 1953, durante lavori di sistemazione della vena acquifera da parte dei proprietari del fondo. Su Tempiesu, addossato a una parete rocciosa, dove sgorga l’acqua sorgiva che alimenta la fonte sacra, è l’unica struttura in elevato e coperta di un pozzo sacro. Il tempio è alto circa sette metri e la copertura era costituita da un tetto a duplice spiovente che sosteneva venti spade votive in bronzo decorate e infilate in fori.

Ad oggi manca la parte finale, distrutta dalla frana, ma rimangono due archi monolitici che abbelliscono il vestibolo creando una sorta di soffitto intermedio.

Fonte sacra di Su Tempiesu

L’acqua scorre in una canaletta scavata sul pavimento del vestibolo e viene convogliata in una seconda piccola fonte, riproduzione in scala minore della principale.

Carloforte: un intreccio tra tunisini e genovesi

Carloforte

La meta della nostra prima parte di vacanza è l’Isola di San Pietro, la sesta isola per grandezza in Italia, che ci hanno detto essere bellissima e con una storia del tutto particolare; qui infatti si parla un dialetto sardo simile al ligure antico e si mangia couscous tunisino. Riporto di seguito uno stralcio di un articolo che un mio caro amico, il noto fotogiornalista parmense Alessandro Gandolfi, scrisse sulle sue origini, rendendo perfettamente l’idea dell’anima dell’isola:

[…] bisogna fare un salto indietro di quasi cinque secoli, quando il Mediterraneo era tagliato da navi pirata e flotte imperiali. Nel 1535 Tunisi venne occupata dal corsaro Barbarossa e per liberarla il sultano chiamò in aiuto Carlo V. L’imperatore sconfisse il Barbarossa con l’aiuto del genovese Andrea Doria e in cambio ottenne fra le altre cose il diritto di pescare il corallo lungo le coste tunisine. A usufruire della concessione fu la più ricca famiglia di Pegli, i Lomellini (amici dei Doria), che non persero tempo e convinsero diverse famiglie di pescatori pegliesi a colonizzare la città di Tabarka, famosa per il suo corallo. “Tra Cinque e Seicento – ha scritto Fiorenzo Toso in Isole Tabarchine – la fattoria di Tabarka fu un’impresa commerciale altamente redditizia”. Porto franco del Mediterraneo, qui arrivavano le merci dall’Oriente per poi ripartire verso Genova, ma non solo: quella di Tabarka era l’unica comunità europea in terra nordafricana, dunque il più importante luogo di contatto fra musulmani e cristiani.
Le cose non durarono al lungo. L’inimicizia dei francesi, le scorribande dei saraceni e la progressiva carenza di corallo misero in crisi l’enclave ligure. Fu allora che entrò in gioco l’Isola di San Pietro, un tavolato vulcanico ricoperto di macchia mediterranea nell’angolo sud-occidentale della Sardegna. […] Oggi San Pietro è il volto di una Sardegna discreta e solitaria, che ama i silenzi più che il jet-set. Il suo porto, Carloforte, sembra un pezzo di Liguria trasportato al sud: le case color pastello affacciate sul mare, le gallàie (i balconi) in ferro battuto, i borghi stretti che paiono carrugi e una chiesa – quella di San Carlo Borromeo – identica a quella di Pegli. L’avrete capito: i liguri che vivevano a Tabarka sono gli stessi di Carloforte. Ma come ci arrivarono? […] I tabarkini sbarcarono a San Pietro il 22 febbraio del 1738; l’isola era disabitata anche se alcune presenze nuragiche facevano pensare che al tempo dei fenici e dei greci – quando era chiamata Hieracón, “isola degli sparvieri” – qualcuno doveva pur averci vissuto. I romani e gli arabi l’avevano sfruttata per la sua posizione lungo le rotte commerciali, per poi lasciarla in mano ai corsari. Fu nel 1734 che Carlo Emanuele III di Savoia decise di valorizzare le terre del suo regno, compresa questa piccola isola al largo della Sardegna ricca di terre fertili e prezioso corallo. Qualcuno doveva colonizzarla e la scelta cadde proprio sui liguri di Tabarka.
San Pietro è conosciuta per le sue spiagge vergini e la natura selvaggia. La costa occidentale, da Punta delle Oche a Punta Colonne, è un muro di basalto a picco sul mare, un alternarsi di grotte e falesie che terminano a sud nelle spettacolare “colonne”, due torri di trachite che nei secoli l’uomo ha ridotto notevolmente facendone pietra per pavimenti e marciapiedi. Una piacevole abitudine è diventata la gita al faro di Capo Sandalo, che funziona dal lontano 1864. […] tutti, arrivandoci, attraversano una delle ultime foreste mediterranee d’Europa, fra piante di mirto, di erica, di lentischio e alti pini d’Aleppo[…] La vita è concentrata a Carloforte, U Pàize per i locali, un villaggio di settemila abitanti che d’estate lievita fino a 40mila. Sbarcati dal traghetto la prima cosa che si scorge nella piazzetta è la statua di Carlo Emanuele III, rimasta senza un braccio nel 1793 quando fu seppellita in fretta e furia per difenderla dai repubblicani francesi. Oggi per i ragazzi dell’isola il monumento, U Pittaneddu, è luogo di appuntamento serale così come per gli anziani lo sono di giorno i barüffi, le panchine rotonde in fondo a corso Tagliafico. La via principale del paese è dedicata infatti ad Agostino Tagliafico, colui che nel 1738 guidò il trasferimento dei tabarkini dalle coste tunisine a San Pietro. La nuova comunità non ci mise molto a svilupparsi: in poco tempo furono distribuiti i lotti di terreno, riattivate le vecchie saline, costruite le prime case ed eletto sindaco Giambattista Segni, un antenato del futuro presidente d’Italia. In cambio della licenza per la pesca del tonno e del corallo, i coloni realizzarono gratuitamente la cittadella contro le “invasioni de’ Turchi”. Uno dei pericoli maggiori nei successivi cinquant’anni furono proprio gli assalti dei pirati islamici, che fecero anche centinaia di schiavi[…] Il tabarkino parlato ancora sull’isola è più o meno la lingua della Genova cinquecentesca, un idioma che ai tempi era conosciuto in tutto il Mediterraneo come lingua franca. […]
C’era un tempo […] in cui Carloforte era il porto più importante della Sardegna. Le miniere del Sulcis-Iglesiente sono proprio di fronte a noi ed è da qui che per decenni, finito il corallo, è arrivata la ricchezza. Aveva il colore nero della galena, il solfuro di piombo che macchiava gli abiti e i polmoni dei galanzieri di San Pietro. I barcaioli caricavano il minerale sulle loro bilancelle a vela latina, lo stoccavano nei magazzini di Carloforte e poi ripartivano verso i maggiori scali italiani. […] qui a Carloforte, nel 1897, ci fu il primo sciopero operaio del Regno d’Italia, quando centinaia di galanzieri incrociarono le braccia per protestare contro le disumane condizioni in cui erano costretti a lavorare.
I tabarkini hanno fatto della loro identità – la lingua, le tradizioni, la cucina – una vera bandiera. […] le presenze sarda e tunisina, oltre che ligure, si rintracciano ovunque a Carloforte, soprattutto a tavola. Dove al pesce locale si associano spesso la fakussa (un cetriolo dolce) e il couscous maghrebini (qui è chiamato cashcà e gli dedicano perfino una festa, ad aprile), e anche buona parte della tradizione gastronomica genovese: il basilico, il pesto, le paste, le focacce e la farinata di ceci. […] “Noi tabarkini […] siamo figli di due madri diverse. Di una naturale, la Liguria, e di una adottiva, la Sardegna. E vogliamo bene a tutte e due…”.

Muovendoci in auto, siamo stati a vedere le zone più caratteristiche dell’isola, come il faro di Capo Sandalo, nell’estremità più a ovest d’Italia; l’insenatura di Cala Fico; le nere scogliere di tufo di Cala Lunga viste da La Punta e le Ex Saline.

Proprio qui è possibile ammirare una splendida avifauna, tra cui spiccano i bellissimi Fenicotteri Rosa e l’elegante ed aggraziato Cavaliere d’Italia.

Spostandoci a piedi, abbiamo dedicato un’intera mattina curiosando per Carloforte, tra le piazze, le viuzze, i tratti di mura con fortini e i caratteristici carrugi che si inerpicano su un lieve pendio, tra scorci colorati delle facciate delle abitazioni e vedute sul mare.

Pula e l’area archeologica di Nora

Lasciata la suggestiva Carloforte, dopo una troppo breve permanenza di due notti e un po’ meno di tre giorni, ci dirigiamo a Santa Margherita di Pula, dove abbiamo affittato un appartamento per il resto della vacanza. Approfittando di una mattina di poco sole e molta foschia, siamo andati a visitare la vicina Nora, città fenicio-punica e romana.

Della fiorente città rimangono affascinanti rovine, tra cui i ruderi delle terme, per cui Nora fu celebre, un’abitazione signorile con porticato a quattro colonne e stanze tappezzate di mosaici, l’anfiteatro, le vie pavimentate e la piazza del Foro.

Curiosità: durante i lavori di scavo fu ritrovata la famosa “Stele di Nora”, il più antico documento dell’Occidente, custodita nel museo archeologico di Cagliari; su di essa compare per la prima volta il nome Shrdn, ‘Sardegna’.

Il mare, le spiagge e la strada delle cartoline

Le spiagge in cui siamo stati sono dislocate da Cala Verde a Porto Pino. Comprendono ben tre bandiere blu, due delle quali si trovano lungo la strada litoranea SP71 che passa per Chia, per Capo Malfatano e continua fino a Porto Tramatzu. Questo tratto di costa è anche chiamato da qualcuno la “strada delle cartoline”, dato che dietro ogni curva si apre un panorama mozzafiato.

Su Giudeu (Chia)

La prima “bandiera blu”, andando in direzione est-ovest, è l’ampia e spaziosa spiaggia di Su Giudeu, un lungo arenile di sabbia bianca e finissima, con un fondale bassissimo, caratterizzato dalla presenza di scogli levigati che formano l’isolotto prospiciente.

Per poter ammirare tutto il litorale della baia, si può effettuare una passeggiata verso il faro di Capo Spartivento, ora anche resort di lusso, che domina l’estremità sud-occidentale della Sardegna. Dalla sommità, specialmente al tramonto, è possibile godere di un panorama da sogno, spesso teatro di scene cinematografiche e spot pubblicitari.

Tuerredda

Simbolo della Sardegna, gioiello della costa sud-occidentale e nostra seconda “bandiera blu”, è uno dei capolavori del Mediterraneo: la spiaggia di Tuerredda richiama scenari caraibici, grazie all’intenso azzurro dell’acqua cristallina, al verde degli arbusti e all’oro delicato della sabbia soffice e finissima. I colori delle acque passano dall’azzurro intenso al verde smeraldo e quando appare dall’alto della SP71, non si può fare a meno di fermarsi in una delle piazzole per fare qualche foto e rimanerne estasiati.

Is Arenas Biancas

L’ultima “bandiera blu” in ordine di tempo dove siamo stati è quella delle spettacolari dune di Is Arenas Biancas, nella punta sud-occidentale della Sardegna. Con la loro sabbia bianchissima e finissima e i cespugli di ginepro, sono uno dei luoghi più suggestivi di tutta l’isola. Cadono in parte nel poligono militare NATO di Capo Teulada e si estendono per più di un chilometro, raggiungendo anche i trenta metri d’altezza.

Si possono raggiungere in due modi: passando per Sant’Anna Arresi e poi seguendo le indicazioni a sinistra prima di entrare nell’abitato di Porto Pino; oppure, provenendo da Teulada, attraversando il poligono militare dove indicato, circa 1 km prima dall’abitato di Sant’Anna. Entrando da questo lato può accadere di doversi fermare per fare attraversare un gregge di più di 500 pecore e capre!

Bellezze di giorno, ma anche di notte

Ovviamente non poteva mancare qualche scatto notturno, sfruttando la peculiarità del cielo sardo, ovvero essere quello con meno inquinamento luminoso d’Italia.

Ho ripreso il sorgere della Luna piena sul mare dalla spiaggia di Cala Verde, che assomiglia all’alba di un piccolo sole

e una meravigliosa Via Lattea, con Giove alla sua destra, dalla spiaggia di Torre Chia.

Via Lattea e Giove dalla spiaggia di Torre Chia

In conclusione, siamo nuovamente rimasti incantati da questo angolo della Sardegna, zona che fa da ideale completamento al viaggio intrapreso lo scorso anno, dove la natura incontaminata si fonde con i profumi, i colori ed i sapori tipici del territorio che sanno sollecitare tutti i sensi.


← Torna a Blog di Viaggio

 

2 risposte a "La Sardegna del sud-ovest"

  1. Buonasera. Grazie di aver condiviso la tua esperienza. di viaggio. Posso approfittare per chiederti un consiglio? Noi Sarò in vacanza in zona la prossima settimana e vorrei soggiornare in una località che la sera offra la possibilità di una passeggiata, un gelato…insomma un po’ di vita. Che cosa mi suggeriresti? Grazie
    Sara

    "Mi piace"

Lascia un commento