Quest’anno abbiamo deciso di trascorrere le nostre vacanze al mare all’insegna della tranquillità, ritmi slow ed immersi nella natura. La scelta è caduta sulla Sardegna meno frequentata e più selvaggia: la costa ovest, tra Oristano, Arbus ed Iglesias, meglio conosciuta come Costa Verde. Il periodo sono state le ultime due settimane di giugno 2018.
A livello di infrastrutture, è evidente un passato glorioso, figlio del boom edilizio di qualche decennio fa, ma attualmente sta attraversando un periodo di involuzione, con molti immobili trascurati o in vendita. Abbiamo fatto base a Torre dei Corsari, il più rinomato centro turistico-balneare della zona; qui il grosso del turismo si ha nei mesi di luglio ed agosto, quindi abbiamo potuto godere di poca gente e tanta, tanta tranquillità, sia in paese che in spiaggia: era esattamente uno dei nostri obiettivi.
La Sardegna archeologica
Sbarcati di prima mattina ad Olbia, ci siamo diretti verso Torre dei Corsari percorrendo la superstrada, in via di completamento, SS597 in direzione Sassari, per poi tagliare verso sud sulla statale SS131, dedicata al Re di Sardegna e Duca di Savoia Carlo Felice. Nel comune di Paulilatino, esattamente a fianco del nostro percorso, si trova uno dei pozzi e villaggi di epoca nuragica più conosciuti: il Pozzo Sacro di Santa Cristina con il complesso nuragico omonimo che merita una sosta per un’interessantissima visita guidata. Secondo quanto appreso dalla guida ed archeologo Sebastiano Demurtas, lo scopo principale dei nuraghe era il controllo del territorio con funzioni di avvistamento. Infatti mediante l’utilizzo della volta a cupola, eretta secondo la tecnica ad “aggetto”, potevano raggiungere altezze di alcune decine di metri, assumendo le fattezze di vere e proprie torri. Nello stesso sito si trova anche la chiesetta campestre di Santa Cristina attorno alla quale si sviluppa un piccolo villaggio di seconde case abitate principalmente durante i novenari. Lo stile è vagamente messicano e con un piccolo sforzo di immaginazione, è possibile vedere comparire il panzuto sergente Garcia rincorrere Zorro dopo una sua scorribanda, oppure sfrecciare il topino Speedy Gonzales.

Nei giorni successivi abbiamo fatto tappa anche alle rovine di epoca fenicia di Tharros, attraversandole per raggiungere le incantevoli spiagge lungo la punta della penisola di San Giovanni di Sinis.
Ma soprattutto abbiamo visitato il meraviglioso complesso nuragico di Su Nuraxi a Barumini (patrimonio dell’umanità dal 1997); seguendo la guida, ci siamo addentrati per stretti corridoi e ripidi gradini che portano in cima alla torre principale. Dalla sommità è possibile ammirare quel che resta del villaggio nuragico collegato e godere di uno spettacolare panorama su tutta la vallata circostante.

La forma originaria del complesso, col mastio centrale a tre livelli, le quattro torri circostanti e le mura di protezione, ricorda incredibilmente quella di un castello medioevale con funzioni di difesa e di controllo del territorio, ma eretto 1500 anni avanti Cristo!
Le bellezze naturali
Mi risulta difficile fare un’accurata selezione delle incredibili bellezze naturali che si trovano in questa parte di Sardegna selvaggia e incontaminata.
Sicuramente il mare e le spiagge bianche o dorate, la fanno da incontrastate dominatrici; basta vedere il vasto arenile che da Torre dei Corsari arriva a Pistis: sabbie d’oro e mare azzurro, con enormi dune gialle che ti proiettano immediatamente in deserti tipici di altri continenti.
Spiagge altrettanto belle e selvagge si incontrano lungo la costa in direzione sud, come quella di Portu Maga, dove abbiamo assistito ad un matrimonio civile proprio in riva al mare; oppure la più conosciuta spiaggia di Piscinas, circondata da dune di sabbia tra le più alte d’Europa, che possono addirittura superare i 100 m.
Il giro più spettacolare, però, lo abbiamo fatto percorrendo la piccola e tortuosissima strada provinciale SP83 che, lungo la costa, passa dall’enorme arenile di Buggerru, per poi catapultare il viaggiatore nel cuore del Sulcis-Iglesiente, prima a Cala Domestica, poi alla spiaggia di Masua. Cala Domestica è un’incantevole spiaggetta con un mare dalle sfumature verdi-azzurre; caratteristica è la caletta alla sua destra a cui si accede passando attraverso un breve tunnel scavato nella roccia.
La spiaggia di Masua, chiamata anche spiaggia del Pan di Zucchero, è stupefacente per la presenza di un enorme scoglio vagamente simile a quello più famoso di Rio. Di roccia calcarea chiara e vegetazione verde sulla cima, è circondato da un mare azzurro mozzafiato; sulle sue pareti verticali sono tracciati vari itinerari di arrampicata, tanto che il famoso free climber Manolo vi girò alcuni video per gli spot della Sector.
Durante il nostro passaggio abbiamo assistito alla suggestiva benedizione della restaurata Madonnina dei Mari, che è stata successivamente deposta in acqua, esattamente sotto al magnifico faraglione.
In direzione opposta, invece, verso nord, nel Sinis, abbiamo fatto tappa nella già menzionata spiaggia di Tharros e nella famosa spiaggia di Is Arutas, composta da piccolissimi granelli di marmo bianco, location di un film nella giornata in cui ci siamo fermati. Un’altra sosta è d’obbligo nella bianca e stretta spiaggia di Putzu Idu (dito nel pozzo), di sabbia finissima e acque azzurro intenso, dolcemente degradanti e calde.
I numerosi stagni salmastri attorno al golfo di Oristano, non solo Cabras, ma anche lo stagno di Santa Giusta, quello di S’Ena Arrubia e la Laguna di Marceddì, sono l’habitat perfetto per la più grande colonia di fenicotteri rosa italiana (poco più numerosa di quella di Comacchio, come riportato nel mio precedente articolo Comacchio, Valli e fenicotteri rosa). Questi grandi uccelli si possono vedere a qualunque orario del giorno, quasi sempre con la testa sott’acqua, intenti a mangiare il loro cibo preferito: l’Artemia salina, di cui vanno veramente ghiotti, abbuffandosene in continuazione. Tale alimento è un piccolo crostaceo molto ricco di betacarotene, pigmento di colore rosso-arancio che si deposita nelle penne in sviluppo, conferendone il tipico colore rosso/rosaceo.
Non lontano da Barumini si trova l’Altopiano della Giara, alto circa 550 metri, con un’estensione di 42 chilometri quadrati; uno dei suoi punti di accesso è attraverso il paese di Gesturi. Su consiglio di un amico (il noto fotogiornalista parmigiano Alessandro Gandolfi), siamo saliti per vedere una razza di cavallini nani, i cosiddetti Cavallini della Giara, che pascolano allo stato brado esclusivamente sulla sommità di questo enorme e verde tavoliere basaltico. È possibile girare il parco a piedi, in bicicletta oppure a cavallo, attraversando macchia mediterranea e grandi boschi di sughero. Noi abbiamo scelto la bici e lungo un percorso di una decina di chilometri, nei vari laghetti e acquitrini temporanei (pauli), abbiamo incontrato tanti cavallini che si stavano abbeverando. È stata decisamente un’esperienza molto suggestiva ed indimenticabile.
Viaggiando nell’entroterra abbiamo spesso avuto modo di ammirare paesaggi e monti da Vecchio West, probabilmente perché condizionati mentalmente dalla visione dei famosi Spaghetti Western del grande Sergio Leone. Addirittura, in un’occasione, mi è sembrato di scorgere una piuma indiana dietro una roccia… ma forse è stato solo un effetto collaterale del mirto!
Oltre alle bellezze terrene, ci siamo lasciati incantare anche da alcune bellezze della volta celeste, come un luminosissimo pianeta Venere che riflette la sua luce sul mare (mai visto così in vita mia e nelle serate successive); oppure, approfittando della ubicazione ad ovest, godere di meravigliosi tramonti di Sole, albe d’orate e crepuscoli di Luna piena alla prima ora blu del giorno.
Archeologia industriale mineraria
La zona attorno ad Arbus e nel Sulcis è costellata da tantissimi stabilimenti minerari, da cui si estraevano principalmente piombo, zinco e argento, dismessi poco oltre la metà del secolo scorso. Durante il nostro girovagare, abbiamo avuto modo di vederne parecchi. Dapprima attraversando in auto il paese di Montevecchio, formato essenzialmente da case di minatori, in cui il tempo sembra fermo al periodo in cui la miniera, visibile lungo la valle, era in attività; successivamente per Ingurtosu, ma tutto il territorio presenta ancora oggi i segni di questa durissima epoca, fatta di stenti, sacrifici e fatiche disumane.
La maggior parte di essi è stata trasformata in siti di archeologia industriale, con musei e centri di informazione che tramandano la cruda storia della vita degli operai. È possibile notare un territorio trasformato morfologicamente dal materiale di svuotamento che crea delle vere e proprie colline artificiali, ora in fase di bonifica; oppure vedere affiorare ruderi di porti, come a Piscinas, da cui partivano le navi che trasportavano i vari minerali verso il continente; o ancora, gli stabilimenti di lavaggio e l’elegante palazzo direzionale delle miniere Brassey, chiamato “il castello” per la somiglianza con i castelli neomedievali tedeschi. Scendendo più a sud si passa dagli enormi stabilimenti minerari di Masua, che fanno da contraltare al mare cristallino attorno al succitato Pan di Zucchero.
Di rientro dalla spiaggia di Piscinas, abbiamo deciso di fare una visita guidata al Museo Multimediale delle Miniere di Ingurtosu, presso il Pozzo Gal, che dava accesso ai tunnel che si estendevano nel sottosuolo per decine di km, a profondità anche superiori ai 300 m. Il percorso museale permette al visitatore di rendersi conto di quanto sfruttamento, a livello di risorse sia umane che naturali, avvenisse in quell’epoca. Proprio da qui sono partiti i primi scioperi e le prime rivolte dei minatori, che cercavano di tutelarsi, rivendicando i propri diritti a fronte di un’aspettativa di vita non superiore ai quarant’anni.
Tradizioni, particolarità e stranezze
Durante la nostra permanenza sull’isola, ci siamo imbattuti in diversi aspetti singolari, sia relativi alla tradizione religiosa, che a particolari abitanti del posto.
Nei primi giorni di vacanza abbiamo partecipato alla festa di Sant’Antonio da Padova; il primo sabato dopo il 13 giugno, il simulacro del Santo viene portato in processione dalla Chiesa di Arbus a quella del piccolo paese di Sant’Antonio di Santadi, mentre il martedi successivo viene fatto il tragitto inverso. I circa 35 km che separano le due chiese vengono percorsi a piedi; al seguito ci sono fedeli, gruppi folk, cavalieri e le caratteristiche e coloratissime carovane trainate da buoi o trattori, le cosiddette “traccas”. Noi abbiamo assistito alla parte conclusiva della festa, ad Arbus.
Sopra le dune della spiaggia di Pistis, sul lato opposto a quella di Torre dei Corsari, si trova la Casa del Poeta Tziu Efisio Sanna, costruita attorno ad un enorme ginepro secolare e macchia mediterranea. Merita indubbiamente una breve visita, sia per l’aria fresca sotto alla grande ombra, che per l’originalità della dimora. Purtroppo della struttura di qualche anno fa, quando il poeta era ancora in vita, sono rimaste solo poche tracce; residenti del paese incontrati sul luogo ci hanno raccontato che era addirittura formata da pareti, ambienti, letti e cucina.
Lungo la strada per raggiungere Barumini ci siamo fermati nel paese di Baressa, in quanto la nostra attenzione è stata attirata da alcuni grandi murales che raffigurano tipiche attività contadine. Scesi dalla macchina per fare qualche foto, abbiamo scambiato due chiacchiere con l’immancabile combriccola di gentilissimi anziani del posto, seduti sulla classica panchina all’ombra. Ci hanno suggerito di fare un giretto tra le viuzze del paese e tra le graziose casette in pietra. La cosa più divertente è successa proprio quando stavamo per tornare alla macchina: incrociamo un originale e barbuto omino di mezz’età, non più alto di 1,50 m, il quale, vedendomi girare con la reflex in mano, mi guarda e dice: “Ha voglia di fare una bella foto?” Alla mia risposta affermativa, apre una piccola porta di legno, invitandomi ad entrare nel suo minuscolo giardino interno; sui muri ed appesi ai rami era stracolmo di pentole, pentolini e padelle, di ogni forma e misura! Ci ha raccontato che è la sua collezione personale, accumulata nel corso degli anni in giro per tutt’Italia, Milano compreso. Aveva una pentola per ogni tipo di pietanza e ricetta; io l’ho definito un accumulatore seriale di pentolini!!
Di ritorno da una giornata in spiaggia a Putzu Idu, ci siamo fermati nel suggestivo paese di San Salvatore di Sinis, dove, leggenda vuole, siano stati girati alcuni spezzoni di Spaghetti Western. In realtà una coppia di residenti del posto (il paese è costituito da seconde case di abitanti di Oristano e Cabras) ci hanno assicurato che l’unico spaghetti western giratovi fu il “celeberrimo” B-movie Giarrettiera Colt… ciononostante il paese è stato ugualmente usato come set di innumerevoli film, anche se di genere differente. Addentrandoci tra le case e le stradine interne, però, ci è veramente sembrato di venire proiettati un paio di secoli indietro nel tempo, in un tipico villaggio del Far West, magari nel New Mexico. Non ci saremmo stupiti di vedere qualche sombrero all’ombra di una pianta o qualche pistolero far tintinnare i propri speroni, dirigendosi assetato verso il saloon. Invece, dal punto di vista archeologico, meritevole sarebbe stata una visita alla piccola chiesa, costruita a più livelli, sopra ad un pozzo sacro e a materiale di epoca nuragica, ma purtroppo chiusa al nostro arrivo.
Molto di frequente, girando per le tortuose strade dell’entroterra, capita di imbattersi in interi gregge di capre e pecore, che attraversano la strada in libertà per brucare un nuovo e succulento cespuglio più a monte o più a valle. Oppure rientrare verso l’ovile scortati dai cani e dal pastore, creando un buffissimo ingorgo, quello che io chiamo: coda in tangenziale in chiave sarda!
Purtroppo, come per tutte le cose, l’epilogo arriva immancabile, ma l’ultimissima tappa, prima di imbarcarci sul traghetto che da Olbia ci riporterà a Livorno, abbiamo deciso di farla nell’incantevole Bosa. Il borgo appare all’improvviso sulla strada che proviene da Macomer, con un notevole colpo d’occhio. E’ possibile ammirare le variopinte case del quartiere storico di sa Costa, che si inerpicano fino alle pendici del Castello dei Malaspina, risalente al XII secolo. Il tempo a nostra disposizione non era molto, quindi, dopo una passeggiata tra i caratteristici vicoli del centro, abbiamo pranzato nella piazza principale, degustato un bicchiere di ottima malvasia del posto e siamo dovuti a ripartire immediatamente. Un vero peccato, perché la visita avrebbe meritato un tempo decisamente più lungo.
In conclusione, dopo aver percorso quasi 2000 km dalla partenza all’arrivo a casa, abbiamo trascorso le canoniche due settimane di ferie estive nel cuore della Sardegna pressoché incontaminato dal turismo di massa e dal jet set della costa nord-est. Le spiagge sono ancora molto selvagge, affascinanti e poco affollate, ma in quasi tutte abbiamo trovato piccole strutture che forniscono servizi quali ristorazione, ombrelloni e lettini. Probabilmente è un tipo di turismo che si addice maggiormente agli stranieri ed ai locali, mentre è meno sfruttato, sbagliando, dalla maggior parte degli italiani. In questo spicchio di Sardegna più vero abbiamo potuto spaziare tra spiagge e mari incantevoli, paesaggi e natura che a volte mozzano il fiato, specie di animali unici e caratteristici, ruderi che ricordano un non lontano ma durissimo passato minerario, ci siamo lasciati incantare da meraviglie archeologiche di epoche in gran parte ancora ignote ed abbiamo partecipato a tradizioni religiose centenarie. E’ sicuramente un viaggio che mi sento di consigliare a chiunque abbia voglia di vivere le nostre stesse emozioni.

NOTE: per vedere il geotagging è possibile andare sull’album Flickr qui